sabato 14 febbraio 2015

Rock Stories: Eric Clapton



Eric Patrick Clapton (Ripley, 30 marzo 1945) è un cantautore, chitarrista e compositore britannico.

Soprannominato “Slowhand” (mano lenta) e “God” (Dio), da Chuck Berry definito “The Man of the Blues” (l’uomo del blues), è uno dei piú famosi ed influenti chitarristi blues. Plurivincitore di Grammy Award è l’unico musicista che vanta 3 inserimenti nella Rock‘n’Roll Hall of Fame (The Yardbirds, Cream e solista). 


La rivista Rolling Stone lo ha inserito Clapton al secondo posto dietro solo a Jimi Hendrix nella lista Rolling Stone’s 100 Greatest Guitarists of All Time, che annovera i migliori chitarristi di tutti i tempi, eleggendolo quindi migliore chitarrista vivente.

Era un bambino calmo, timido, solitario e, per sua stessa definizione, “cattivo”, molto determinato nel perseguire i suoi obiettivi nell’apprendimento musicale, ma anche dotato di grande senso dell’umorismo.


Trascorse gli anni della scuola media alla Hollyfield School di Surbiton e per il suo tredicesimo compleanno ricevette in regalo una chitarra spagnola Hoya.
Imparare la chitarra si rivelò per lui tanto difficile che fu sul punto di abbandonarla. 

Sin da ragazzino fu influenzato dal blues e si allenava molte ore per imparare gli accordi e riprodurre la musica di artisti blues, che ascoltava con il suo registratore.

Inizia la sua carriera come solista esibendosi nelle strade. 

Entra giovanissimo negli Yardbirds per poi passare con i Bluesbreakers di John Mayall. Con lui incide il disco Bluesbreakers With Eric Clapton

In questo periodo conosce il batterista Ginger Baker ed il pianista, compositore e bassista Jack Bruce. Con loro fonda il gruppo rock-blues dei Cream. 
Inoltre suona nei primi album di Frank Zappa, incidendo parti vocali e di chitarra.

L’assetto dei Cream, un supergruppo di virtuosi, consente a ciascuno dei componenti di liberare le proprie capacità senza essere costretto nei limiti delle canzonette pop. 

Sunshine of Your Love, White Room scritta dal bassista dei Cream Jack Bruce  e Badge (scritta con l’amico George Harrison) sono le gemme piú luminose della prima parte della carriera di Clapton. All’apice del successo, alla fine dei sessanta, i Cream si sciolgono.

Per gli anni immediatamente successivi la carriera di Clapton assume un carattere un po’ nomade e irregolare. Insieme a Ginger Baker e all’amico Steve Winwood, 

Eric fonda i Blind Faith. Presence of the Lord è un classico che ancora oggi Eric suona a volte in concerto. 
Anche i Blind Faith hanno vita assai breve e, dopo il solo disco d’esordio, la loro esperienza si chiude: del resto la vita dei cosiddetti “supergruppi”, quali erano sia i Cream che i Blind Faith, non è mai stata facile, soprattutto per le pressioni delle major.

Trova quindi rifugio nella band Delaney & Bonnie, in cui per un periodo brevissimo milita e va in tour. Ne scaturiscono due dischi: Delaney & Bonnie & Friends e On Tour with Eric Clapton.

Nel 1970 esce il primo album solista di Clapton. Rara la prima versione (CTH in trail-off per i cultori del vinile) uscita per sbaglio con versioni inedite di After Midnight e Blues Power. 

Subito dopo, Eric forma i Derek & The Dominos. In realtà il gruppo doveva chiamarsi ‘Derek & The Dynamos’ ma fu cambiato per un errore di trascrizione. 

Arrivato agli studi appositamente per conoscere Clapton, entra a far parte del gruppo un altro grande chitarrista elettrico, Duane Allman, noto per la militanza negli Allman Brothers.

Esce il disco Layla and Other Assorted Love Songs. Layla, con il micidiale riff di apertura, è una delle canzoni piú celebri di Clapton insieme alla successiva Cocaine (1977) scritta da J.J. Cale. Sebbene il disco contenga anche altri ottimi brani (Bell Bottom Blues, I Am Yours, Key to the Highway), è in generale il lirico dialogo tra la chitarra di Clapton e quella di Duane a dominare il disco. 

Clapton soffre molto per la morte improvvisa di Jimi Hendrix, cui era legato da grande stima ma anche da competizione. 
Per un lungo periodo i concerti di Clapton con Derek and the Dominos del 1970 si aprono con Little Wing di Jimi Hendrix in omaggio al grande chitarrista.

Al successo statunitense dell’album segue una tournée e un disco dal vivo. Un secondo progetto di disco abortisce prima di essere pubblicato, Duane muore in un incidente stradale e per Clapton si aprono definitivamente le porte dell’inferno della droga. 

Nell’agosto 1971, un Clapton visibilmente provato partecipa al Concert for BanglaDesh dell’amico George Harrison, riprendendo tra l’altro il famoso assolo di While My Guitar Gently Weeps, da lui già eseguito nella versione del White Album dei Beatles.

Ci vorranno mesi e mesi e l’aiuto di amici come Pete Townshend a risollevarlo dall’abisso, almeno parzialmente. 
Tanto affetto quasi costringe Clapton a fare una rentrée live al Rainbow da cui viene tratto un live, non del tutto riuscito, a detta di molti critici (anche perché sull’LP non vengono inseriti i brani migliori, poi pubblicati su bootlegs giapponesi di alto livello). 

Ma è abbastanza perché Clapton si rimetta in pista, e con 461 Ocean Boulevard torna a ruggire nelle radio e sui giradischi di tutti i fans. 
La canzone pilota è I Shot the Sheriff, già di Bob Marley (all’epoca ancora misconosciuto autore jamaicano). 
Del resto Clapton è noto per il suo gusto nello scegliere nel repertorio di altri artisti canzoni da lanciare a nuova vita.

Si nota nel disco anche Let It Grow, dall’incedere lento ed ammaliante, ma con una chiusura solenne e bellissima, harrisoniana, precedente al giro di accordi di Stairway to Heaven. 

Se Eric Clapton (1970), come detto attribuibile in larga parte a Delaney & Bonnie, per quanto di ottimo livello, è un po’ una falsa partenza, 461 Ocean Boulevard (1974) segna l’avvio effettivo della carriera solista di Clapton divenendo inoltre l’archetipo di quasi tutti i suoi album: tanti altri ne seguiranno nei trent’anni successivi ma ricalcheranno tutti, con maggiore o minore successo, la formula vincente di questo, blues, ballads e laid-back, con elegantissimi interventi di chitarra.

In ogni caso l’attività di studio è funzionale a quella dal vivo, dove Clapton tira sempre fuori il meglio di sé, a parte quando torna ad essere preda di demoni e dipendenze varie. 

Tra i dischi dal vivo degli anni settanta si ricorda E. C. Was Here con grandi assoli blues e Just One Night, in cui Eric riesce a rendere brillanti e fiammeggianti anche composizioni che in studio erano risultate deboli.

Gli anni ottanta vedono un Clapton modaiolo e alle prese piú con il gossip ed il jet set che non con il blues. 
Nel 1988 partecipa con i Dire Straits ad un concerto in onore di Nelson Mandela. 

È una tappa del tour dello stesso anno che coinvolge gli amici Mark Knopfler ed Elton John. 
La super session di amici avrà il suo culmine nel concerto benefico di Knebworth del 30 giugno 1990.

Ma la vita chiede a Clapton il piú alto prezzo che un padre possa mai pagare: il 20 marzo 1991, a causa di una finestra lasciata aperta da una domestica, il figlioletto Conor, nato il 21 agosto 1986 dalla relazione con l’attrice italiana Lory Del Santo, a soli 4 anni muore cadendo dal 53º piano di un grattacielo a New York, dove si trovava con la madre. 

Clapton è spezzato dalla tragedia, ma il dolore gli dà una scossa totale.

Al di là della canzone dedicata al figlioletto morto (Tears in Heaven), dal lutto sofferto Clapton riapre le porte della sua musica al blues. 

La prima pubblicazione di Tears in Heaven avviene in occasione della realizzazione della colonna sonora del film Rush (1992) dove la canzone, a differenza della versione acustica che poi comparirà in “unplugged”, è realizzata con la chitarra elettrica. 

È, infatti, il film Rush che dà ad Eric l’occasione di esprimere, come richiestogli dal regista, una musica che dia l’emozione a chi ascolta della perdita di una persona amata. 

Altre canzoni composte sull’onda emotiva della morte di Conor sono: My father’s eyes e Circus has left town canzoni dove Clapton esprime il suo dolore sia per la morte del figlio che per non aver mai conosciuto il suo vero padre.

L’occasione per aprire il suo cuore al pubblico e mostrare insieme le sue ferite, la sua forza ed il suo amore per il blues viene nel 1992 in occasione della registrazione del MTV Unplugged. 

Come richiesto dalla trasmissione televisiva, nessuno strumento elettrico è consentito, solo chitarra acustica. 
Ne esce un recital maestoso, dove anche numeri a prima vista improponibili in versioni acustiche, escono rivitalizzati e vestiti a nuovo, uno per tutti Layla: famosissima per molti anni nella sua prima versione, Layla diventa altrettanto famosa nella versione acustica, uno swing dolente e felpato per nulla simile alla frustata rock dal finale struggente e malinconico di trent’anni prima.

Il disco tratto dalla trasmissione diventa un best e un long seller e ristablisce il valore di Clapton. Colpito egli stesso dall’inatteso trionfo mondiale, decide di proseguire nella ricerca del blues ed esce From the Cradle (1994), album rigorosamente elettrico e blues.

Gli ultimi anni di Clapton lo hanno visto altalenare tra produzioni mainstream e dischi dichiaratamente blues (gli ultimi in questa serie sono Me & Mr. Johnson e Session for Robert J., tributi a Robert Johnson).

Nel frattempo, Clapton ha avuto anche modo di creare una fondazione per la cura e la riabilitazione degli alcolisti (Fondazione Crossroads con sede ad Antigua); nel 1999 ha organizzato un concerto al Madison Square Garden di New York di cui è stato pubblicato un DVD dal nome Eric Clapton & Friends In Concert A Benefit For The Crossroads Centre At Antigua, mentre nel 2004 e nel 2007 ha organizzato un grande festival della chitarra blues, il Crossroads Guitar Festival, di cui sono stati pubblicati due DVD doppi.

Nell’agosto del 2005, l’album Back Home è stato sostanzialmente ed unanimemente stroncato dalla critica: troppo orientato al mainstream, prevale un tono abbastanza tiepido, privo di sussulti, in cui la mitica Stratocaster non “ruggisce” piú. Retrospettivamente, e in modo alquanto malizioso, qualcuno ha fatto trapelare che in realtà le canzoni di Back Home fossero state registrate prima del disco-omaggio a Robert Johnson, ma che la casa discografica, ritenendole meno interessanti delle cover stesse, ha preferito ritardare l’uscita del materiale originale preferendogli il tributo al vecchio bluesman.


Nel 2006 esce The Road to Escondido, album in cui finalmente, Clapton, realizza la collaborazione tanto desiderata con J. J. Cale, l’autore di Cocaine. 

Nella band è presente anche Billy Preston nella sua ultima session in studio, pochi mesi prima della sua scomparsa. Dal 2006 si esibisce anche in Italia in una serie di date che lo vedono protagonista al Lucca Summer Festival il 7 luglio assieme alla Robert Cray Band, a Umbria Jazz l’8 luglio, e all’Arena di Verona, ancora una volta con Robert Cray davanti a un foltissimo pubblico: insieme hanno concluso il concerto duettando in Crossroads. Il tour ha visto superbi concerti sold out insieme all’amico Steve Winwood e al monumento Jeff Beck.

Nel settembre del 2010 è uscito il suo nuovo disco, contenente due inediti, intitolato semplicemente Clapton. Definito dal cantante come un album “venuto da sè”, un tributo alle grandi melodie blues e jazz ascoltate fin da bambino.

Il 24 giugno 2011 si è esibito in un concerto di beneficenza insieme a Pino Daniele nello stadio di Cava de’ Tirreni di fronte a circa 17000 spettatori.

Il 13 settembre 2011 è stato pubblicato l’album live (CD e DVD) Wynton Marsalis & Eric Clapton Play the Blues, registrazione di un concerto tenutosi nell’aprile dello stesso anno al Rose Theatre di New York, frutto di una felice collaborazione con il virtuoso trombettista Wynton Marsalis.

Con l’accompagnamento di una vera e propria big band jazz, i due musicisti esplorano le radici del blues, interpretando soprattutto brani tradizionali, come Just a Closer Walk with Thee, ma anche il classico di Clapton, Layla, presentato in un’ancora nuova versione.

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