sabato 25 aprile 2015

Rock Stories: Iggy Pop





Iggy Pop (pseudonimo di James Newell Osterberg Jr.; Muskegon, 21 aprile 1947) è un cantante e attore statunitense. È al 75º posto nella lista dei 100 migliori cantanti secondo Rolling Stone.

Nato da padre inglese e madre statunitense. 
Già alle superiori milita in alcune band come batterista. 
Acquista notorietà facendo parte degli Iguanas come batterista tra il 1963 ed 1965 (da cui il suo soprannome “Iggy” da Iguana) dei Prime Movers e successivamente come cantante degli Psychedelic Stooges (con i fratelli Ron Asheton e Scott Asheton rispettivamente chitarra e batteria e Dave Alexander al basso), in seguito solamente The Stooges, dopo lo scioglimento dei quali, nel 1974, ha intrapreso l’attività da solista. 

Con i The Stooges, con cui pubblica tre album prima dello scioglimento: The Stooges (1969), Fun House (1970) e Raw Power (1973), viene considerato una figura chiave dello sviluppo futuro di generi musicali come hard rock, noise, heavy metal, punk rock.


La sua carriera di front -man è da considerarsi iniziata proprio nel gruppo rock Iggy and The Stooges, formazione proto-punk di Detroit per eccellenza.

Precursori dell’imminente ondata sonora che di lì a pochi anni verrà consacrata con il nome di punk, insieme ad artisti del calibro di The Doors, Vevet Underground, Patty Smith, New York Doll, The Ramones, gli Stooges, band capitanata da Iggy Stooge, futuro Iggy Pop, fecero da subito scalpore sopratutto per testi licenziosi e per le esibizioni a dir poco sfrenate del suo cantante e leader. 

Iggy è un autentico animale da palcoscenico, un forsennato esibizionista e un selvaggio autolesionista; 
le sue performance dal vivo, sempre uniche e sopra le righe, non si scordano facilmente. 

La musica, seppur di buona fattura, passa in secondo piano: sono le performance dell’iguana a incendiare la platea e a far conoscere ai discografici la band. 
Uno stile che non poteva passare inosservato. 
“Allora c’era caos un po’ dovunque, le uniche certezze le avevi sul palco, mentre quando scendevi tutto tornava misterioso - racconta Iggy Pop -. 

Il mio scopritore che mi introdusse all’Elektra Records rimase incantato non dalla nostra musica ma dalla violenza con cui mi esponevo all’audience quando suonavamo nei locali di Los Angeles”.

A Cincinnati, Iggy trascorre buona parte del concerto in mezzo al pubblico e quando torna sul palco è nudo e completamente cosparso di burro di noccioline.
A Boston, per scaldare un’audience distratta, salta e si contorce sul palco, si taglia il torace e comincia a sanguinare.

Correva l’agosto del 1969 quando l’Elektra pubblicò il loro album d’esordio, intitolato semplicemente The Stooges e prodotto da John Cale dei Velvet Underground. 

Inizialmente, come accade a molti capolavori del rock, il disco non fu un successo. 
Le vendite non furono all’altezza delle aspettative (anche se raggiunsero quota 35mila) e per risollevare le sorti commerciali di Iggy Pop alias “L’Iguana” fu necessaria negli anni un’accurata operazione di “restyling” da parte di quel grande manager del rock che è David Bowie. 

Eppure quel disco di esordio degli Stooges ha segnato la storia del rock, influenzando moltitudini di band, al punto che oggi è diventato uno dei capisaldi della generazione new wave. 

Ascoltandolo, si ha l’impressione che Iggy e i suoi compagni (Ron Asheton alla chitarra, Scott Asheton alla batteria e Dave Alexander al basso) fossero avanti di vent’anni rispetto ai loro contemporanei. 

Il loro suono, infatti, è privo di ogni connotazione temporale. Il suono della chitarra di Ron Asheton è disintegrato, distorto. 

Si alternano sprazzi di rock duro e selvaggio - “1969” (ripresa in chiave gotica dai Sisters of Mercy), “I wanna be your dog”, “Real cool time” - a lenti “raga” lisergici, come “We will fall” (dieci minuti di puro delirio psichedelico, con la viola straziata di John Cale in primo piano) e “Ann”, che concede forse i momenti più morbidi, ma che prorompe in un lancinante assolo di chitarra finale.

Gli Stooges interpretano il malessere di una gioventù che proprio in quel momento si sta auto-celebrando a Woodstock. 



Ma dietro la loro musica, ruvida e malata, non ci sono speranze, né utopie. E’ un’inesorabile discesa negli inferi della noia, della decadenza, della perdizione: un nichilistico “mal di vivere”. 

In questo senso “No Fun” (“Nessun divertimento”), riproposta in seguito dai Sex Pistols come retro di “Pretty Vacant”, è una sorta di “manifesto”.

Inutile nominare tutte le band che da questo disco hanno imparato che cosa è il rock. Si fa prima a dire che, forse, senza “The Stooges” la new wave e il punk non sarebbero stati la stessa cosa. 
Per promuovere il disco, gli Stooges si dedicano quindi a un’intensa attività live che vede il loro leader assoluto mattatore.

Dopo lo scioglimento degli Stooges, dovuto in gran parte a divisioni interne e al pesante uso di droghe dei suoi membri, Iggy Pop vive un periodo di profonda crisi, da cui si risolleva solo nel 1977 grazie alle cure dell’amico David Bowie. 

In piena esplosione punk, “l’Iguana” pubblica nel 1977 due buoni album sotto l’egida di Bowie: “The Idiot” (dal quale si ricordano i pezzi Nightclubbing, che sarà usato nel film Trainspotting , Funtime, usato nel film Miriam Si Sveglia a Mezzanotte e China Girl) e “Lust For Life” (con Some Weird Sin, The Passenger, Lust for Life, Tonight e Success divenuti degli standard), album in cui si fondono il rock’n’roll più aspro, selvaggio e “maledetto” e un pop più accessibile. 

Il risultato è un buon successo di critica e di pubblico.


Iggy Pop attraversa gli anni ‘80 e ‘90 tra alterne fortune, passando da un genere all’altro, compreso il country ed il blues, e scrivendo pezzi come Cry for Love, e un rifacimento con stravolgimento del testo del classico Louie Louie (in American Caesar), registrando album spesso discontinui, ma fornendo esibizioni dal vivo sempre sanguigne ed esaltanti. 

Come quelle del “Nightclubbing Tour” del 1980-81, in compagnia di ex-Patti Smith Group come Ivan Kral e Richard Sohl, ed ex-Blondie come Gary Valentine e Clem Burke. Memorabile, in particolare, la data a Detroit insieme ai Rolling Stones. 

Nel frattempo, alcuni suoi brani vengono portati al successo proprio da da Bowie (“China Girl”, “Loving the Alien”), ma anche da Sex Pistols (“No fun”), Siouxsie and The Banshees (l’inno alla notte di “The passenger”) e Sisters of Mercy (“1969”). 

Nel 1986 sarà ancora una volta il suo amico David Bowie ad accorrere in suo soccorso, salvandolo dagli abusi di droga e alcol e producendo l’album “Blah-Blah-Blah”. 

Il disco, seppur molto più commerciale dei precedenti, è arricchito da brani come “Shades”, “Real wild child” e “Cry for love”. 

Per Iggy è il massimo successo di vendite della carriera: l’album entra nelle top ten in molti paesi e in Canada diventa perfino “disco d’oro”.

Dopo una collaborazione con Ryuichi Sakamoto, Pop riprende l’attività Live, come supporter dei Pretenders e con alcuni concerti in Giappone. 

Quindi, torna in studio, affiancato da Bill Laswell dei Material, per incidere “Istinct”, album che suona come un ritorno alle origini, ovvero a quel rock scarno e chitarristico che aveva costituito il marchio degli Stooges. 

La sua sembra un’energia inesauribile. “I momenti dai quali traggo maggior energia - spiega - sono quando finisco di comporre un brano, e quando mi siedo in studio e finalmente me lo riascolto dopo averlo inciso e realizzo che mi piace: ecco, in quel momento mi sento Dio. 

Dal vivo è molto differente, perché trascorro le due ore prima del concerto con un nervosismo persistente addosso, mentre le due ore dopo la fine dello show le trascorro serenamente, libero e rilassato”.

Negli anni 90, Pop offre ancora performance vitali e dischi all’insegna di un buon rock “di mestiere”. 

Ma il livello complessivo della sua musica scade notevolmente. 
Considerato ormai un’autentica icona vivente del rock, il cantautore americano si è dedicato con successo anche al cinema, come dimostrano le partecipazioni ai film “Cry Baby” di John Waters, “Il colore dei soldi” di Martin Scorsese, “Sid e Nancy” di Alex Cox e “The Crow: City Of Angels” di Tim Pope. 

Ma a dare nuovo lustro al suo mito è anche la colonna sonora del cult-movie Trainspotting di Danny Boyle, che rispolvera alcuni dei suoi classici, come “Lust for life” e “Nightclubbing”.

Nel 1996, Pop ha pubblicato l’album Naughty Little Doggie e l’antologia Nude and rude - The best of Iggy Pop che racchiude molti dei suoi successi, compresi quelli con gli Stooges. Quindi nel 2001, l’inatteso ritorno a un disco in studio con Beat ‘em Up. 

Un album pieno di energia, a cominciare da “The Mask”, la prima traccia, in cui Iggy urla come ai tempi d’oro: “Tu hai addosso una maschera!” Il tono complessivo è duro e metallico (la martellante “L.O.S.T.”), e il vecchio spirito punk torna a vibrare (“Football”, “Savior”).

Due anni dopo è la volta di “Skull Ring”, album in cui si mescolano, in una serie di salti tra passato e presente, mediocrità e momenti inarrivabili, sciattezza e precisione, originalità e sputtanamento. 

In tutti i brani Iggy è accompagnato da band in qualche modo figlie di quegli Stooges (con l’illustre nome di Mike Watt a sostituire dal vivo al basso il defunto Dave Alexander), che riecheggiano sorprendentemente brillanti in 4 brani: Little Electric Chair”, che sembra uscita da Funhouse, il riff devastante (plagiato dal Peter Gunn Theme) di “Skullring”, anch’essa degna dei tempi che furono, “Loser”, anch’essa costruita sul solito, impeccabile riffone, e la pungente e autoironica “Dead Rock Star”. 

Al trio Pop-Aheton-Asheton non basta fare altro che sciorinare la propria sapienza in fatto di rock’n’roll, rimasta intatta negli anni, per mettere a segno quattro centri. 

Come ritorno non c’è proprio male, non è un tonfo e tanto basta per un trio di personaggi che hanno letteralmente inventato un certo modo di suonare musica rock. 

A sorpresa, nel 2007 arriva perfino una clamorosa reunion degli Stooges, con The Weirdness.
Iggy Pop, gli Asheton e Mike Watt giocano a fare gli Stooges e si divertono molto. 

Produce Steve Albini. 
L’Asheton chitarrista domina, Iggy gigioneggia, Watt c’è e non c’è. 
C’è McKay, sì, il sassofonista di Funhouse, ma qui sembra più che altro un turnista da piano bar, melodioso quando serve e spompato quando occorre esagerare.

A sei anni dall’ultimo disco solista e a due dalla reunion degli Stooges, Iggy Pop pubblica Preliminaires, produzione di prestigio che lo vede nei panni di una figura misteriosa un po’ cantastorie letterario, un po’ “chansonnier d’Amerique”. 
Più che un’iguana, un camaleonte. 

Iggy l’Iguana ha sette vite: “Ho composto alcuni pezzi per un lavoro di danza contemporanea, ho lavorato sui testi di un nuovo film, ho preso parte ad un paio di lungometraggi e ho trovato il tempo anche, tra un impegno e l’altro, di disegnare una nuova linea di preservativi, e mi sono parecchio divertito”. 

E a chi gli chiede un giudizio sugli attuali esponenti della scena rock mondiale, l’Iguana risponde da par suo: “Questi giovanotti di oggi, conoscono alla perfezione gli spartiti, ma non sanno neppure cosa significa vomitare!”.


Attualemte Iggy ha partecipato nell’ album Slash & Friends del chitarrista Slash (Velvet Revolver) disponibile nell febbraio 2010.


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(Fonte:Last.fm)

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